SGUARDO OLTRE LEVANTE
Immagini dall’estremo oriente e porcellane cinesi tra viaggio e collezionismo
>> PROROGATA FINO AL 2 MARZO
La Fototeca dei Civici Musei si presenta in questa esposizione da protagonista, abbandonando finalmente il ruolo di supporto documentario degli anni passati e conquistando per le immagini dell’Estremo Oriente uno spazio e un’attenzione che, se non illustra straordinari tesori, illumina la nostra conoscenza su Cina e Giappone.
È l’occasione per dimostrare come alcune sezioni della Fototeca sono frutto di puro collezionismo privato che è confluito nelle raccolte dell’istituto perché unico in grado di assicurarne la conservazione. Al collezionismo di poco conosciuti e individuati personaggi – Maria Piacere, Vittorino Pizzarello, Luciano Cosso – si devono le carte de visite, stereoscopie e cartoline, tutte datate dalla seconda metà dell’Ottocento ai primi anni del Novecento, che ci permettono di viaggiare nell’Estremo Oriente. Si tratta di vedute, soprattutto i porti, ma anche paesaggi che presentano una natura diversa, le vie animate delle città, le varie tipologie di personaggi, le donne negli interni delle case ma riprese anche nei giardini perfetti e artificiali.
Pochissimi sono i nomi conosciuti degli autori, la riproduzione di massa del tempo li ha cancellati, va sottolineato però come il percorso sia ambiguamente parallelo: i fotografi europei si sono recati in Cina e Giappone appoggiandosi a studi fotografici locali, richiedendo documenti iconografici adatti al mercato occidentale, ma al contempo ne hanno assorbito lo stile.
L’esotismo occidentale vuole contemplare se stesso con gli occhi degli altri. L’operazione ha alle spalle i potenti giochi del mercato, un’ideologia colonizzatrice che cataloga e classifica, finché il fascino dell’Estremo Oriente non inizia a suggestionare e a far sognare.
La mostra “SGUARDO OLTRE LEVANTE Immagini dall’Estremo Oriente e porcellane cinesi tra viaggio e collezionismo” è curata da Claudia Morgan e Michela Messina con la collaborazione di Elisa Vecchione, Adriana Casertano per la ricerca fotografica e di Lorenzo Michelli per il progetto di allestimento.
Tutto è iniziato con le navi
Con i piroscafi del Lloyd, tra i primi a utilizzare il Canale di Suez. Con le fregate e corvette della Marina austriaca impegnate a circumnavigare il globo. Con le navi che salpavano da Trieste e vi ritornavano cariche di merci, souvenir, bibelot, idee e impressioni di terre lontane, da levante e oltre levante fino all’estremo Oriente: la Cina e il Giappone.
A Trieste, durante tutto l’Ottocento e fino alla Grande guerra, c’è enorme curiosità verso questi misteriosi paesi, tutti vogliono vedere e ammirare i loro prodotti che arrivano copiosi, presentati nelle esposizioni, venduti nei negozi d’élite e magari approfittare del carnevale per imitarne l’abbigliamento.
È questo il momento in cui la fotografia, passata dal rango di curiosità scientifica a quello di elemento portante della conoscenza del mondo, inizia a svilupparsi in industria e fornisce ai curiosi, ai collezionisti e ai primi turisti desiderosi di souvenir da riportare in patria tre formati piccoli e poco costosi: carte-de-visite, steroscopico e cartolina.
La figura più emblematica della fotografia di viaggio individuata nelle nostre collezioni è Wilhelm J. Burger. Considerato il fotografo chiave della spedizione austro-ungarica del 1868, lavora in Giappone a fianco a professionisti quali Ueno Hikoma a Nagasaki e Shimooka Renjō della scuola di Yokohama. In un momento storico in cui il Giappone vive profondi cambiamenti politici, nel passaggio dal shogunato Tokugawa al “periodo del regno illuminato” (Meiji), gli occidentali ricreano in studio l’immagine di un mondo che si sta smembrando davanti ai loro occhi, attraverso la riproduzione dei così detti tipi nativi: graziose fanciulle in kimono, samurai e soggetti legati alla tradizione.
È un mondo plasmato attraverso l’obiettivo dell’europeo. Nondimeno nasce un dialogo culturale anche attraverso questi stereotipi e fraintendimenti. L’occidentale non sa leggere l’immagine semica dell’ideogramma che domina anche nella composizione iconografica tradizionale e neppure sa cogliere la scomposizione dei punti di fuga di un paesaggio pittoresco ed esotico, ma apprezza la bellezza immediata che offrono luoghi e persone. Anche la Cina ha i suoi soggetti tradizionali, ma sono espressi attraverso un linguaggio stilistico che l’europeo le ha insegnato e dovrà passare ancora del tempo prima ch’essa ne elabori uno proprio. La diffusione di queste immagini avviene, tra l’altro, anche via posta come dimostra la vasta quantità di cartoline presenti in mostra.
Porcellane cinesi tra viaggio e collezionismo
Candida, sonora, resistente: per secoli la porcellana è stata considerata in Europa un tesoro magico e misterioso, esclusivo appannaggio della Cina, che pochi potevano possedere e fino al Settecento nessuno era in grado di produrre.
La ricca collezione di porcellane cinesi del Civico Museo d’Arte Orientale consente di ripercorrerne la storia: dagli antichi vasi color verde giada del XII-XIV secolo, noti come céladon, fino alle decorazioni a smalti policromi delle cosiddette famille verte e famille rose dei secoli XVIII e XIX, attraverso le porcellane decorate in blu di cobalto sotto coperta e le candide statuine blanc de Chine.
La presenza a Trieste di questi preziosi oggetti è il riflesso delle sue vicende mercantili, che la accomunano a Genova e Venezia, anch’esse centri storicamente dediti al traffico portuale e al commercio con l’Oriente, dove pure si trovano importanti musei d’arte estremo-orientale. Il commercio marittimo di Trieste con la Cina risale agli ultimi decenni del ’700 e porcellane cinesi giungono in città già nei primissimi anni del secolo seguente; ma lo scoppio della passione per le cineserie avviene nel 1822, al ritorno della fregata Carolina, la prima nave austriaca a recarsi in Cina, carica di oggetti orientali di ogni tipo. L’apertura del Gabinetto Cinese Wünsch negli anni ’40 dell’800 e gli interessi dell’arciduca Ferdinando Massimiliano, appassionato collezionista di oggetti esotici e di porcellana cinese, dimostrano una continuità di interesse che si prolunga fino ai due collezionisti grazie ai cui legati si deve, nel ’900, la maggior parte della raccolta museale: Carlo Zanella (1853-1900), agente del Lloyd a Hong Kong, che ebbe modo di radunare la propria collezione durante la sua permanenza in Estremo Oriente, e Mario Morpurgo de Nilma (1867-1943), attento conoscitore d’arte e munifico donatore dell’intera sua dimora, oggi Museo Morpurgo, comprendente anche una nota raccolta di stampe e surimono giapponesi e un’importante collezione di maioliche occidentali. Il nuovo allestimento della collezione amplia il numero di esemplari esposti e permette di osservare e apprezzare le molte varietà prodotte durante i secoli, mettendo a confronto questi preziosi e fragili manufatti con le coeve maioliche e porcellane italiane ed europee di gusto rientaleggiante, a dimostrazione di uno dei molteplici aspetti assunti dal gusto per l’esotico in Europa dal ’600 in poi.
Il Museo d’arte orientale di Trieste è nato nella primavera 2001 grazie ai lavori dei Progetti FIO finanziati dallo Stato e all’impegno del Comune di Trieste e della Fondazione CRTrieste, realizzando così anche il sogno della contessa Margherita Nugent, che nel 1954 aveva lasciato in eredità Palazzetto Leo perché diventasse sede museale, sulla scia di illustri precedenti come il barone Revoltella, e le famiglie Sartorio e Morpurgo.
Da dodici anni, dunque, questo piccolo ma elegante edificio settecentesco permette di ammirare il patrimonio di oggetti e documenti accumulato dalla città in virtù dei suoi rapporti economici con il Levante e si colloca in un’élite di istituzioni museali dedicate all’arte orientale che si contano sulle dita di una mano (Venezia, Torino, Genova, Roma, per citare i più importanti). L’allestimento progettato a suo tempo da Luisa Crusvar, studiosa triestina di riconosciuta competenza nel campo dell’arte orientale, ha permesso di seguire un percorso molto chiaro sia dal punto di vista geografico che cronologico e approfondire tutte le tipologie di oggetti presenti nel museo, dalle porcellane ai tessili, dalla straordinaria collezione di stampe giapponesi alle armi.
Mentre si sta progettando il “sistema museale triestino”, come auspica l’Amministrazione comunale, con il Sindaco e l’Assessore Miracco impegnati personalmente nella formulazione e nella valutazione delle diverse ipotesi, con riflessi inevitabili anche sotto il profilo urbanistico, a supporto di questa “rivoluzione” istituzionale, l’impegno della direzione dei Musei civici e dei conservatori da oltre un anno si concentra anche e soprattutto nell’analisi approfondita dei singoli istituti e delle loro collezioni secondo una triplice prospettiva:
- indurre il pubblico a una frequentazione più intensa e non solo occasionale aumentando o ruotando il materiale esposto specialmente attraverso mostre a tema;
- verificare le possibilità di “incrocio” delle collezioni, utilizzando, in particolare, l’enorme patrimonio della Fototeca come filo conduttore e integrazione dei temi delle mostre;
- ammodernare gli allestimenti secondo le regole contemporanee della comunicazione museale, con maggiore uso di colore e luce, video ed effetti speciali.
Il Museo Orientale si presta particolarmente a esperimenti di questo tipo non solo per la bellezza, la varietà e la rarità dei pezzi, ma anche per la storia che è possibile narrare attraverso le immagini e gli oggetti, una storia pienamente integrata in quella cittadina.
La posizione di Palazzetto Leo, praticamente affacciato su Piazza Unità, è strategica anche per l’offerta turistica, e, malgrado le difficoltà di bilancio, che hanno ritardato anche questa riapertura, prevista per l’inizio dell’estate, la direzione dei musei intende assicurare l’apertura quotidiana del museo e proporre almeno un’altra mostra per il prossimo autunno.